Lagaccio, Centro Storico, Oregina: non si smantellano i servizi nei quartieri
Il consultorio del Lagaccio svolge un servizio prezioso, anche in termini di prevenzione per Quartieri popolosi che vedono non poche situazioni di disagio (Lagaccio, Centro Storico, Oregina). E’ stata scongiurata la chiusura, ora occorre difendere i servizi territoriali di pediatria, ginecologia ed ostetricia, medicina di comunità, i corsi per l’allattamento, quelli pre e post parto.
Qui il mio commento su Genova24.it
Il mio lavoro in regione a portata di clic
Una veloce presentazione animata attraverso molti temi di cui mi sono occupato, con i link per approfondire. Per iniziare clicca sull’immagine della Liguria.
In sanità nessuna programmazione, solo improvvisazione. L’inchiesta del Secolo XIX su Pratozanino.
Sul Secolo XIX l’inchiesta su Pratozanino che prende spunto dalla mia attività in Regione: milioni di Euro pubblici gettati alle ortiche. Presto l’assessore Montaldo dovrà rispondermi in Consiglio Regionale.
“Il suicidio ferroviario di Genova”, altre notizie.
Su Ship2Shore (rivista on line dedicata al mondo dello shipping) di oggi la vicenda del ponte della strada a mare col nuovo viadotto troppo basso che ostacola i treni merci del porto di Genova. L’ho denunciato la settimana scorsa e lo porterò – spero presto – all’attenzione della Giunta regionale.
Venti di guerra sul suicidio ferroviario di Genova
di Andrea Moizo
Operatori portuali in cerca di responsabili per la nuova strada di scorrimento mal calcolata che impone gravi limitazioni al traffico su rotaia dello scalo
C’è un treno fuori controllo lanciato a tutta velocità sul porto di Genova. Un treno metaforico e carico di guai, perché di treni veri il porto di Genova rischia di vederne sempre meno, anche se questo non è l’unico danno che potrebbe scaturire dalla realizzazione della nuova strada a mare di scorrimento veloce, in via di ultimazione fra Sampierdarena e l’Aeroporto. “Solo a Genova nel 2013 si fanno raccordi ferroviari in pendenza” racconta sconsolato il terminalista portuale Ignazio Messina, illustrando come l’insufficiente altezza del nuovo sovrappasso che corre sulla linea ferroviaria di ingresso al porto abbia costretto ad abbassare il tracciato dei binari sotto il livello di banchina, creando un avvallamento a dir poco problematico. “La pendenza del binario che porta al terminal Messina si attesta tra l’8 e il 12 per mille. Questo comporta criticità per treni di peso particolarmente elevato oltre che in caso di rilevante umidità” spiega infatti Guido Porta, amministratore delegato di FuoriMuro, la società che effettua le manovre ferroviarie in porto. “Ne conseguono – continua Porta – tempi di lavoro raddoppiati e necessità di utilizzare due locomotori, con evidente aggravio di costi”. Un effetto che peraltro colpisce tutti i terminalisti, perché l’asta ferroviaria in questione è utilizzata per manovrare e comporre i convogli di tutto lo scalo, dal momento che l’unico parco ferroviario in funzione è appunto quello parallelo a Lungomare Canepa, essendo il Campasso ancora in via di ristrutturazione. Il rischio è quello di disincentivare ulteriormente la modalità ferroviaria, già poco attraente da un punto di vista economico, e di rendere in generale meno appetibile lo scalo. Resta da capire come sia stato possibile un simile esito.
“Il progetto, affidato alla controllata del Comune Sviluppo Genova, risale a una decina d’anni fa, ma a noi furono sempre mostrate planimetrie prive dello sviluppo altimetrico, sicché ci siamo accorti del problema solo osservando la realizzazione dell’opera” ricostruisce Messina. L’approvazione definitiva arrivò nel febbraio 2008 dalla Conferenza dei Servizi, cui parteciparono non solo gli enti locali e Sviluppo Genova, ma anche, fra gli altri, RFI (Rete Ferroviaria Italiana) e Autorità Portuale. Dalla società del gruppo Ferrovie dello Stato è stato impossibile sapere se il progetto nascesse con l’avvallamento – e quindi la responsabilità sia attribuibile a chi (la Conferenza dei Servizi) ha avallato il disegno – o se si sia trattato invece di un problema sorto in corso d’opera, con responsabilità quindi di chi l’ha eseguito. “All’epoca non ero presidente e quindi mi rimane difficile ricostruire la storia” risponde invece Luigi Merlo, vertice dell’Authority. Che al tempo era però assessore regionale ai trasporti: “Ma alla Conferenza partecipano i tecnici. Comunque è evidente che la responsabilità è di Sviluppo Genova”. Quindi del Comune, che per bocca del vicesindaco Stefano Bernini (irraggiungibile per un commento la scorsa settimana), già a fine anno aveva precisato come “il parere positivo al progetto fosse stato espresso da tutti gli enti interessati, compresa l’Autorità Portuale”. Insomma, uno scaricabarile di cui ha appena chiesto conto mediante interrogazione alla Giunta Regionale il consigliere Lorenzo Pellerano. Ma oltre che politica la battaglia rischia di diventare legale. “Faremo richiesta di accesso agli atti e se verificheremo che l’Autorità Portuale ha approvato il progetto così come è stato realizzato, ci rivarremmo su di essa per coprire i costi aggiuntivi risultanti” minaccia Messina, mentre Porta rivela di aver sollevato presso l’Authority, concedente il sevizio di manovra, “unariserva sul contratto, giacché le condizionipreviste dal bando di gara sono mutate insenso peggiorativo. Per ora non abbiamoavuto risposta”. Ma anche in questo caso il rischio è che ci si rivalga sull’Authority.
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La mia denuncia su Il Giornale
Genova coniughi grandi opere e slow mobility
Ritengo necessario accelerare su tutte le forme di mobilità che valorizzino la città e la regione, senza pregiudizi e senza rinunciare a infrastrutture moderne. Il PD la smetta di fare il gioco delle tre carte.
Si è riaperto in questi giorni in alcuni Municipi e in Comune a Genova il dibattito sull’ipotesi di realizzare una pista ciclabile proprio nel cuore della città – nella zona di via Venti Settembre – deviando il traffico privato in via Maragliano. A Genova è possibile introdurre nuove forme di mobilità che consentirebbero di recuperare la bellezza di interi quartieri e di valorizzazione di stili di vita consapevoli, ma è indispensabile che alla base di ogni progetto vi sia una programmazione che non interessi solo porzioni di città a macchia di leopardo, ma che coinvolga e integri la visione della città nel suo insieme, da Voltri a Nervi. Da troppi anni il centro-sinistra genovese non è in grado di programmare e procede in modo confuso e contraddittorio. Il progetto ha già avuto una gestazione molto controversa e una fase sperimentale che aveva generato accese polemiche sotto la giunta della sindaco Vincenzi. Senza voler entrare nel cuore della polemica e dei punti di vista di tutte le categorie e le parti in causa, ritengo che l’apertura a nuove forme di mobilità di tipo “slow” non possa prescindere da una visione più ampia e armonica di tutta la città, quale quella che Renzo Piano aveva proposto nel suo noto progetto di waterfront del 2004, prima che fosse trasformato in niente più che un “pezzo da museo”. Imporre una pista ciclabile al di fuori di un disegno di città e di un piano più ampio appare una mera decisione ideologica, destinata a fallire.
Genova da anni viene presa in giro dalle amministrazioni comunali targate PD circa la possibilità di realizzare una mobilità alternativa, che utilizzi mezzi di trasporto green, “smart” e a costo (quasi) zero per i cittadini. Peccato si tratti solo di slogan a cui non fa seguito la capacità amministrativa di tradurli in realtà. I fatti sono molto diversi e Genova ha assistito solo alla nascita di progetti “senza gambe”, mestamente naufragati dopo qualche anno e con il solo danno economico per le casse comunali e dell’Europa. Solo per fare un esempio ricordo che il Comune ha investito 220mila euro nel bike sharing, servizio che nel 2012 ha portato un incasso di soli 1.200 euro. Un risultato prevedibile, tutto sommato, visto che a Genova – dove già per conformazione orografica farsi una pedalata non è da tutti – non è stata mai realizzata una pista ciclabile degna di questo nome.
Non ritengo tuttavia che il progetto di ciclabilità sia da scartare a priori. Tutt’altro. Se a Genova si vuole lavorare sulle piste ciclabili, magari sfruttando al meglio le risorse provenienti dai fondi comunitari, è necessario guardare a un percorso da Nervi a Voltri che attraversi la Grande Genova, ricucendo i quartieri e lambendo, in sicurezza, il porto e i luoghi della storia e del lavoro. Certo è un sogno – realizzabile – e occorre superare alcuni limiti, ma penso sia possibile, per esempio affidando ai migliori architetti lo studio delle soluzioni migliori per risolvere le intersezioni fra porto e città. Il tutto assumerebbe un senso profondo in chiave identitaria e turistica. Talvolta non ci rendiamo conto di quanto sia bella agli occhi di un turista la nostra Genova, nella diversità dei Quartieri: un raccordo “verde” interno alla città consentirebbe ai visitatori di allargare lo sguardo al di fuori del Porto Antico.
D’altro canto è impensabile che una pista ciclabile possa risolvere i problemi di mobilità tout court, intesa come mobilità interna alla città e mobilità di collegamento alla città. Non si può prescindere dalla realizzazione di grandi opere quali Gronda, Terzo Valico, completamento del raddoppio della tratta ferroviaria verso Ventimiglia. Anche sui ritardi di queste opere la sinistra e il PD, che da anni ormai governano città e Regione, non hanno più alibi. Fa sorridere che il PD si accorga solo oggi di qual’era il programma di Marco Doria alle primarie: un freno alle infrastrutture. Invece, se non vogliamo chiudere in un totale isolamento il nostro porto e l’economia tutta della città, è indispensabile puntare sui collegamenti veloci che possono arrivare solo da un aeroporto efficiente, da arterie autostradali in grado di accogliere i flussi del XXI secolo – non una camionale realizzata, con enorme lungimiranza, nel 1936 – e da treni puntuali che viaggino su binari sicuri e veloci.
Allo sviluppo della città in questi termini potrà essere associata anche la realizzazione di infrastrutture “verdi”, come una pista ciclabile da Voltri a Nervi. Ma senza una visione della Città nel suo insieme non si va da nessuna parte. E purtroppo questa è la realtà di questi anni.
Genova Superba solo per le tasse sulla casa: cosa sta facendo la Giunta regionale?
Ho scritto al Presidente Burlando per chiedere quali azioni abbia intrapreso per sollecitare una revisione della classificazione degli immobili che oggi registra nel capoluogo ligure la più elevata concentrazione d’Italia di abitazioni “signorili”. Iuc e Tasi rischiano di trasformarsi in imposte inique e spropositate per le famiglie proprietarie di immobili considerati di pregio in base a valutazioni di 70 anni fa.
A tre mesi dall’approvazione all’unanimità in consiglio regionale dell’ordine del giorno che impegna la Giunta ad attivarsi presso il Governo affinché venga stilata – nell’ambito della riforma del catasto – una nuova classificazione degli immobili, penso che i cittadini genovesi meritino di conoscere quali azioni sono state intraprese dalla Regione per sollecitare la revisione dei valori degli immobili oggi accatastati come A1, quindi considerati “signorili”, secondo classificazioni che spesso risalgono addirittura al 1939 e non sono più attuali. Dopo aver presentato l’8 di ottobre un ordine del giorno sul tema approvato all’unanimità in modo bipartisan dal consiglio, ho scritto al presidente Burlando. Nella lettera inviata circa due mesi fa e alla quale non è seguita ancora nessuna risposta e ho chiesto aggiornamenti sugli sviluppi conseguenti all’impegno preso dalla giunta. Ho chiesto inoltre, anche a nome dei tanti cittadini che hanno condiviso questa nostra iniziativa, nel caso nulla fosse stato fatto, di dar seguito all’ordine del giorno per far sentire quanto prima la voce della Liguria presso il Governo, affinché venga accelerato l’iter del provvedimento finalizzato alla revisione della classificazione degli immobili cosiddetti di lusso, per evitare ulteriori tassazioni inique per molti cittadini genovesi. Genova risulta infatti la città italiana più penalizzata dalle attuali classificazioni, visto che proprio sotto la Lanterna, secondo l’accatastamento di quasi un secolo fa, risulterebbero quasi 4.400 immobili di tipo signorile, circa il 20% dei circa 24mila presenti in tutto il Paese. Secondo la valutazione in vigore, risultano di categoria A1 numerose abitazioni in zone come Cornigliano, Sampierdarena e Sestri Ponente, il cui valore commerciale in molti casi si è fortemente ridotto nel tempo rispetto ad altre zone della città e del Paese.
Secondo alcune valutazioni di mercato, in alcuni dei quartieri appena citati si arriva oggi, per le vendite degli immobili, a stime di 800 euro a metro quadro: decisamente poco per una casa “signorile”. Pertanto sarebbe auspicabile che l’aggiornamento delle classificazioni cominciasse proprio dal capoluogo ligure soprattutto in previsione dell’entrata in vigore, ormai davvero alle porte, delle nuove imposte introdotte dal governo, in primis Iuc e Tasi. Se non si procede all’aggiornamento per molti genovesi oltre alla beffa di essere considerati “signori” solo dal catasto, si aggiungerà una tassazione spropositata rispetto alle effettive condizioni economiche.
Per dare qualche rassicurazione a tanti liguri che proprio in questi giorni sono alle prese con la mini Imu, dopo il valzer quotidiano delle aliquote delle nuove imposte sulla casa, sarebbe auspicabile che il presidente Burlando chiarisse che cosa la Giunta ha fato dopo l’approvazione all’unanimità del documento che la impegnava a confrontarsi con il Governo per sollecitare la revisione dei valori catastali a Genova. In tanti aspettano una risposta.
Old Building
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